Annalisa Sonzogni

Riappropriazioni

di Anna Daneri

L'immagine, come riteneva Gogol', è chiamata ad esprimere la vita stessa, e non dei concetti o delle riflessioni sulla vita. Essa non designa o simboleggia la vita, ma la incarna esprimendone l'unicità.

— Andrej Tarkovskij

 

Affascinata dall'armonia cristallina espressa dall'architettura della Ex Casa del Fascio, Annalisa Sonzogni la ripercorre attraverso le immagini, facendone emergere frammenti di umanità, forse già presenti nel progetto terragniano.
Se infatti l'architetto comasco aveva concepito l'edificio perché fosse percorso fluidamente, vissuto e visto dagli abitanti, la 'scala umana' (chiaro riferimento a Le Corbusier) ne è la misura ricorrente: nelle aperture, nelle scale, nei rapporti tra i diversi elementi che lo costituiscono.

E le fotografie di Annalisa Sonzogni sono un modo per riacquisire questa fluidità, sostituendo alla modularità oggettiva degli spazi, progettata da Terragni, un gioco di riflessi e immagini catturate da uno sguardo soggettivo.

Forse sta proprio qui il gioco dell'intera operazione, nel segno sottile di una riappropriazione. Agli spazi suddivisi geometricamente seguendo la sezione aurea, la diagonale ribaltata, il modulor messi in campo con sapienza dal maestro del razionalismo italiano, Sonzogni affianca e oppone lo sguardo soggettivo catturato dalle immagini e quello quotidiano di chi abita quegli spazi.

C'è qualcosa che rimanda a un atto di decostruzione, di un testo, ma anche di uno spazio: il gesto suggerito da Derrida di chiarire e far vedere mentre si cancella. Le fotografie montate sui pannelli mobili, i riflessi prodotti dagli specchi, l'insieme delle immagini che si moltiplicano nell'installazione "Passeggeri"
non sono didascalie che spiegano letteralmente lo spazio, ma una somma di rifrazioni e sguardi furtivi: non illustrano nulla, semmai sottraggono.
Si tratta forse di un'indicazione di metodo più generale, che ci racconta del nostro rapporto con lo spazio e con il passato. Comprenderli davvero significa infatti cancellarne l'evidenza, facendo irrompere il nostro sguardo irriducibilmente soggettivo.

Su questi presupposti è possibile pensare a un altro uso, quello momentaneo della mostra, di quegli spazi suggerito dalla disposizione dei pannelli che, come quinte teatrali, mettono in scena la vita quotidiana e lasciano intravedere lo scheletro di un'esposizione.